Editoriale
di Salvatore Abbruzzese
Proporre oggi una rivista di valorizzazione delle ricerche in ambito storico-sociale è un’operazione culturale apparentemente imprudente ed implicitamente provocatoria. Inserirsi all’interno di una tematica di consolidata tradizione culturale, qual è quella del meridionalismo, vuol dire accedere ad uno degli spazi problematici più importanti della cultura nazionale; un laboratorio permanente con il quale hanno dovuto fare i conti le migliori intelligenze del nostro Paese e che vede, a tutt’oggi, la presenza di non poche istituzioni culturali di prestigio nazionale. Una tale operazione sarebbe quindi improvvida, quando non addirittura velleitaria, se non si fondasse su una sostanziale rivalutazione della ricerca storico-sociale. Una rivalutazione che non ha alcunché di automatico ma implica la capacità di iscriversi in controtendenza rispetto alla congiuntura culturale contemporanea; procedendo in direzione opposta rispetto ad alcuni luoghi comuni che attraversano il pensiero diffuso e che, spesso, sono sbrigativamente ripresi anche da quello riflesso. Nell’ambito degli studi storico-sociali l’attuale congiuntura culturale appare profondamente marcata da un’accezione particolare del processo culturale di affermazione della modernità. Questa infatti risente ancora – anche se in modo implicito – di quella tensione normativa verso il progresso che l’ha caratterizzata a partire dagli anni cinquanta del XIX secolo. Sono diversi gli elementi empirici che suffragano una tale tesi e, in particolare, è proprio il sostanziale disinteresse per la dimensione storica a svelare la persistenza di un simile paradigma. Quest’ultima infatti è ancora troppo spesso apprezzata dal grande pubblico solo nel quadro di un nostalgico come eravamo o in funzione di un interesse meramente esotico per le culture altre, dove il diaframma non è più rappresentato dalla distanza geografica bensì da quella temporale: fino a che punto una tale considerazione è accettabile? […]