Documenti e Interventi NMS n.2

DOCUMENTI E INTERVENTI

Antonello Battaglia, La Sicilia ai Siciliani. L’ideologia separatista di Antonio Canepa

L’indipendentismo siciliano del Secondo dopoguerra è legato a molte figure tra cui quelle di Andrea Finocchiaro Aprile, Antonino Varvaro, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo, Salvatore Giuliano, Calogero Vizzini, Gaetano e Guglielmo Carcaci. Tra questi personaggi, senza dubbio, spicca Antonio Canepa, militante della frangia eversiva, fondatore nel febbraio del 1945 dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), di cui è “generalissimo”.
Nasce a Palermo, il 25 ottobre 1908. Figlio di Pietro Canepa, noto giurista e docente universitario, e della nobildonna Teresa Pecoraro, sorella dell’on. Antonino Pecoraro (Rebuffa 1975)1 e cugina dell’on. Franco Restivo2. Cresce a Palermo, alla Cala, uno dei quartieri storici, per poi trasferirsi in un appartamento più ampio ed elegante della centralissima via Caltanissetta. La famiglia decide di farlo studiare dai gesuiti, in seguito si iscrive al Collegio Pennisi di Acireale. Dopo il diploma ritorna a Palermo, dove intraprende una brillante carriera universitaria laureandosi nel 1930, all’età di ventidue anni, in giurisprudenza con una tesi intitolata Unità e pluralità degli ordinamenti giuridici? che gli vale la lode. In quegli anni entra in contatto con gruppi antifascisti e aderisce a Giustizia e Libertà, il movimento liberal-socialista fondato nel 1929 a Parigi dagli esuli politici tra cui Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli; quest’ultimo proprio nel 1930 pubblica Socialisme Libéral, manifesto teorico del movimento. Canepa è membro dell’organizzazione e ne condivide la volontà di edificare e diffondere un’opposizione attiva al fascismo criticando i vecchi partiti antifascisti ritenuti ormai deboli, rinunciatari e disfattisti […].

Bruno Del Vecchio, Le nuove regole sulla diffamazione a mezzo stampa. Una scelta difficile per il legislatore

Un iter lungo e complesso, iniziato molti anni fa, che non riesce a vedere la fine.
Se qualcuno cerca argomenti per stigmatizzare il (vecchio?) bicameralismo perfetto, gli è sufficiente vedere cosa è successo negli ultimi anni al disegno di legge sulle nuove regole, civili e penali, in materia di diffamazione a mezzo stampa, ruolo del direttore responsabile della testata, liti temerarie, rettifiche, ecc. Modifiche, emendamenti, rinvii tra Camera e Senato1. E c’è anche il legittimo intervento di chi, come la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, cura gli interessi di una categoria, come quella giornalistica, che ai problemi di un lavoro sempre più precario, mal riconosciuto e mal pagato, aggiunge quelli di una “solitudine nella notizia”. Non è certamente un caso che gli episodi, troppo frequenti, di minacce subite da giornalisti nell’ambito del proprio lavoro, riguardano donne e uomini che agiscono senza un forte editore alle spalle. Raccontare la malefatte di un politico o di un imprenditore locale, può essere più rischioso che raccontare, dalle pagine di un grande giornale, i giochi illeciti di un importante gruppo industriale nazionale: la notorietà di chi racconta e di chi è raccontato garantisce spesso la giusta tutela.
Ma la minaccia al giornalista non è solo quella delle pallottole in una busta o dell’autovettura data alle fiamme, ma anche quella più sottile delle c.d. liti temerarie […].

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